Riportiamo la newsletter di UNCEM Piemonte – Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani relativa all’intervista all’On. Enrico Borghi: “”MATTARELLA HA INDICATO LA STRADA DELLA RIFORMA COMUNALE E RILANCIATO I DIRITTI DELLA MONTAGNA”
Nel suo intervento al Congresso Anci di Torino, il Presidente della Repubblica da un lato ha identificato il percorso di riforma della governance dei piccoli Comuni, connotando il tema della loro aggregazione dentro le Unioni o i percorsi liberi di fusione in un quadro di correttezza istituzionale. E dall’altro ha richiamato l’attenzione al rischio dello strabismo tipico della politica italiana, e cioè di guardare solo alle aree popolate
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“L’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’assemblea Anci di Torino ha indicato i giusti binari del corretto riformismo dell’istituzione comunale in Italia, sgombrando il campo da due rischi ricorrenti, quello per un verso della imposizione fusionistica dall’alto e quello del mantenimento dello status quo dall’altro. Dentro il sentiero tracciato in maniera così autorevole, la politica deve fare la propria parte, ad iniziare dalla legge di Stabilità 2016”.
L’on. Enrico Borghi, presidente Uncem e a capo dell’integruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna, attribuisce molta importanza alle parole pronunciate da Mattarella venerdì scorso in Piemonte, parlando davanti alla platea dei sindaci italiani.
Presidente, perché ritiene importante il discorso di Mattarella?
“È importante sotto un duplice aspetto. Da un lato ha identificato il percorso di riforma della governance dei piccoli comuni, connotando il tema della loro aggregazione dentro le Unioni o i percorsi liberi di fusione in un quadro di correttezza istituzionale, ponendo anche un argine a qualche sgrammaticatura di troppo di chi a Roma pensa che la questione dei Comuni sia solo leggibile con la lente del bilancio e non con quella della democrazia. E dall’altro ha richiamato l’attenzione al rischio dello strabismo tipico della politica italiana, e cioè di guardare solo alle aree popolate e ad immaginare che il gioco della politica si possa circoscrivere tra qualche ministero, qualche regione e qualche città metropolitana, tagliando fuori i cittadini di tutto il resto del Paese”.
Mattarella ha addirittura definito “dissennata” una politica che guarda solo alle città…
“Infatti. Ed essendo nota a tutti la misura e il garbo che il Presidente della Repubblica impiega nei suoi discorsi, un termine come questo –oggettivamente forte- acquista ancor più peso specifico. Se il Presidente della Repubblica ha sentito il bisogno di richiamare la politica alla sua indispensabile azione di ricerca del bene comune e di rappresentanza di tutte le specificità territoriali, è perché ha raccolto da un lato lo stato d’animo di molti amministratori e dall’altro l’esigenza che il territorio italiano debba essere gestito e governato. In questo, con il suo esplicito riferimento alle aree montane e rurali ha colto l’esigenza di un rilancio di diritti di cittadinanza dei montanari e del ruolo nazionale della loro presenza, in piena aderenza con l’articolo 44 della Costituzione. Per questo va caldamente ringraziato”.
Pensa che queste parole influiranno sulla politica, ad iniziare dalla legge di stabilità?
“Faremo di tutto affinchè il monito del Presidente non rimanga circoscritto nei verbali dell’assemblea Anci di Torino ma si traduca in atti e fatti”.
Concretamente?
“Sul versante istituzionale, è importante che la legge di stabilità preveda un chiaro sistema di incentivi e di sostegno al processo di aggregazione attraverso le Unioni, e di fusioni per i Comuni che volontariamente decidono di procedere in tale direzione. Deve scattare un meccanismo premiale per chi accetta di lavorare insieme, e servono norme in grado di agevolare e premiare i virtuosi che diminuiscono i costi unitari,abbattono i passaggi burocratici e migliorano la qualità dei servizi resi. Del resto, va in questa direzione anche l’indagine conoscitiva sulle forme associative comunali che la Camera ha fatto partire, e che è in piena esplicazione. Oppure la premialità che abbiamo previsto, nel collegato ambientale, per i comuni che superano i parametri della raccolta differenziata. Sul versante delle politiche, il rilancio delle politiche di sostegno alle aree rurali e montane dovrà ripartire proprio dalla rapida approvazione del collegato ambientale, che traduce in molti suoi punti quella sfida dei territori nella green economy che immaginammo già nel 2008 e che nell’anno della Laudato Si, dell’Expo e della COP21 fa riscoprire i territori come polmone del nuovo modello di sviluppo sostenibile che dobbiamo darci”.
Convidide la posizione Anci di far slittare di sei mesi il termine per la gestione associata obbligatoria delle funzioni dei piccoli comuni?
“Il vicepresidente Anci Matteo Ricci ha spiegato bene alla Camera, nel corso di una audizione, che la proposta non va nella direzione di una deroga o di un ritorno all’indietro, ma di un perfezionamento del processo mediante il forte coinvolgimento dal basso dei territori. In questa logica, associata al regime incentivante di cui ho parlato prima, mi sembra condivisibile, soprattutto se si prefigge si innescare una riforma dal basso in cui i comuni convintamente costruiscono ambiti omogenei e organici. Quelli che in montagna avevamo con le 356 comunità montane, che si sarebbero dovute trasformare in Unioni di Comuni montani senza dar vita a questo festival dell’apprendista stregone che ci ha fatto perdere quasi dieci anni. Va in questa direzione, ad esempio, un mio emendamento al Codice degli Appalti che fa delle Unioni di Comuni le stazioni appaltanti dei Comuni che fanno parte di tale ambito. Occorre quindi fare sintesi tra autonomia ed efficienza, evolendolo si può”.
C’è molta tensione però tra governo e regioni. Questo non influirà sul processo che lei ci descrive?
“Mi viene da sorridere, se penso a cosa dicevo ai presidenti di provincia e di regione quando tra il 2008 e il 2010 lo Stato diede la mazzata finanziaria alle comunità montane. Gli ricordavo la storia degli Orazi e dei Curiazi, dove si colpiva il più piccolo per allenarsi ad arrivare al più grande. Ma in quel momento prevaleva di più la logica spartitoria, rispetto a quella politica. E il clima di oggi è figlio di quella miopia di allora. Mi pare che i motivi di tensione tra governo e regioni siano riconducibili ancora a queste dinamiche, sia pure su partite diverse, come il fondo nazionale per la sanità o il finanziamento delle funzioni amministrative già attribuite alle province e oggi riconfluite nei bilanci regionali. Sul tema dell’associazionismo comunale, abbiamo ancora troppe Regioni renitenti e inottemperanti addirittura alla legge Monti del 2012 che istituiva le Unioni di Comuni montani. Anche per questo ritengo che un chiaro indirizzo debba arrivare in legge di stabilità, anticipando in tale direzione i contenuti della riforma costituzionale che riportano –a mio avviso giustamente- le competenze in materia di associazionismo comunale allo Stato”.
Ma non c’è il rischio di un nuovo centralismo?
“Il rischio c’è sempre, e non è mai esercizio inutile rileggersi le pagine di Sturzo o di Einaudi contro il rischio dello stato napoleonico, centralista e burocratico. Ma l’autonomia si esalta dentro una cornice unitaria, come correttamente ricorda l’articolo 5 della Costituzione, e raggiungendo livelli di efficienza e di capacità di risposta. E purtroppo in questi anni le prove delle Regioni complessivamente in materia di regolazione della governance comunale non hanno certo brillato. Detto questo, ritengo che la crescita delle Unioni di Comuni sia anche un antidoto contro i rischi di centralismo da ritorno di fiamma, perché dentro ambiti che corrispondono alle nuove dinamiche socio-economiche contemporanee, concetto rilanciato proprio dal Presidente Mattarella, i Comuni potrebbero effettuare quelle perequazioni fiscali che singolarmente ben difficilmente potrebbero effettuare, soprattutto in montagna”.
Un’ultima domanda, Presidente: e le politiche di sviluppo, tema storicamente caro all’Uncem, che fine fanno in questo contesto?
“Stiamo vivendo uno strano paradosso, in proposito. Negli anni scorsi in montagna avevamo la veste istituzionale, e si faceva fatica ad avere le risorse. Oggi la situazione si è invertita. Grazie alle tante battaglie fatte, l’Europa ha riconosciuto la specificità montana e quindi nello sblocco dei vari Psr in atto in questi mesi ci saranno misure importanti per lo sviluppo rurale, e va in questa direzione il protocollo che abbiamo siglato con il Ministero delle Politiche Agricoli, Alimentari e Forestali. La Strategia Nazionale Aree Interne attiverà quasi 1 miliardo di euro nei prossimi anni,che ricadranno quasi tutti in montagna. L’arco alpino è soggetto alla Strategia Macroregionale Alpina,e può godere delle provvidenze della cooperazione transfrontaliera con Francia, Svizzera e Austria. E per tutti, il collegato ambientale innesca la strategia nazionale delle green communities,il Piano Nazionale Rurale, il pagamento dei servizi eco sistemici e la nascita delle “oil free zone” che esalteranno la capacità della montagna di produrre energia rinnovabile. Tutto questo si cala su un’armatura istituzionale fragilissima, fatta di comunità montane chiuse o allo stadio larvale, di province svuotate e in metamorfosi come aree vaste, di comuni piccoli e piccolissimi lasciati spesso a sé stessi, con il loro problemi quotidiani. E’ per questo che è urgente la loro condensazione istituzionale, nella maniera corretta che il Presidente Mattarella ha indicato. Ed è per questo che le sue parole acquistano una grande importanza”.